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La donna manager

 

Brava bambina, brava ragazza, brava moglie, brava mamma e poi brava lavoratrice e instancabile!

Il progetto Femmine Difformi è stato per me un cammino graduale; nel tempo ha preso la forma di un sentiero che ho percorso all’indietro, mentre scorrevano ai lati le immagini della mia vita.

 

L’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza si sono presentate alla mia memoria, a volte con dolcezza, a volte con dolore, con fatica e pesantezza.

Man mano che scendevo le scale del mio inconscio, inciampavo sempre più nei condizionamenti, luoghi comuni e giudizi che via via mi hanno plasmato. 

Fino al punto da domandarmi “Ma io, come sono realmente? Chi sono?”

 

La mia è una famiglia storicamente di donne forti, pragmatiche, con poca fiducia nelle capacità maschili di sostenere, collaborare, risolvere, e quindi abituate a non chiedere.

In poche parole una sfiducia nell’uomo che mi ha portato ad assumere il ruolo femminile e al contempo maschile, a caricarmi di pesi a volte insostenibili, con l’incapacità di chiedere aiuto per non mostrare la mia fragilità, le mie insicurezze e quindi la mia debolezza. 

 

Oltretutto, a mio “sfavore”, anche il cognome: Forte. E quindi un mantra che ripeteva “Forte! Tu sei forte di nome e di fatto”.

 

Per anni ho vestito dei panni non completamente miei, per anni sono stata prigioniera di un bisogno di efficienza, precisione, ordine, risolutezza; falsi paletti di sostegno a cui aggrapparmi per sentirmi “brava”.

Ecco, l’ho detto: “brava bambina, brava ragazza, brava moglie, brava mamma e poi brava lavoratrice e instancabile!”

Tutti si aspettavano che io fossi brava. Lo sono stata? Forse sì, forse no.

So che è stata una gran fatica.

 

Mi sono sentita un animale prigioniero, ho cominciato a camminare in su e in giù per la gabbia, a cercare una via d’uscita. In maniera scomposta, senza lucidità, con alti e bassi fatti di delirio d’onnipotenza, senso di rivalsa, rabbia, e con tanto vuoto dentro.

 

Poi l’incontro con altre Donne. Una scoperta. Donne meravigliose, profonde, con storie che si intrecciano; ognuna con un pezzetto di vita che si specchia e si ritrova nel pezzetto di vita di un’altra.

Il riconoscersi, il contatto, il volersi bene, l’accoglienza senza pregiudizi. Non ero più sola.

 

Ho partecipato a un progetto fotografico di Silva, Mari di Donne, prima scintilla di un’idea che poi avrebbe preso corpo nelle Femmine Difformi.

 

Così mi sono vista. Nuda fuori e nuda dentro. Autentica. Profonda.

Con una verità nascosta che era quasi pronta a venire fuori.

Perfetta (adesso sì!) nella mia bellissima imperfezione, pronta a mollare il peso e ad accorgermi che chi mi era accanto non aspettava altro che io fossi pronta a condividerlo.

 

Volevo essere quella della foto, volevo essere me, lasciare nel cassetto l’efficienza angosciante, le rigidità dei troppi ruoli che avevo ereditato, ed essere nella leggerezza, nel veleggiare sereno della mia identità. 

Con le sue luci e le sue ombre.

 

Ecco quindi, spontanea e istintuale, l’immagine della donna manager con le cartelle del lavoro da una parte e le buste della spesa dall’altra, tacchi alti, fretta e trucco, che realizza tutta la pesantezza di quel vivere che nel suo vortice impedisce di sentirsi, di pensare e di guardarsi dentro. Vacillano le false certezze, i passi non sono più fermi.

 

E il dolore viene su.

Spogliarsi e ritrovarsi. Riappropriarsi di se stessi.

Vivere per come si è, liberi dal dito giudicante della famiglia e di chi ti gira intorno. Non sono forse così precisa, non sono forse così efficiente e nemmeno forse così brava.

Ma sono io.

E ad ogni passo che la telecamera riprendeva, lasciavo un po’ della vecchia me.

 

La donna manager non mi appartiene più. L’ho lasciata in quel corridoio di passi rimbombanti, in quella luce un po’ triste e dura, in quel vestito elegante a terra.

Ricominciare da lì, scegliendo ciò che mi appartiene veramente e scoprendo chi sono io oggi, sempre in divenire, grazie anche a quello che ero.

 

Ma so. Lo so. Non è scomparsa del tutto. È pronta a tornare fuori nei momenti difficili. Sta a me riconoscerla, accarezzarla, tenerla accanto senza che mi faccia male.


Un grazie pieno d’amore a Silva, ideatrice di questo autentico progetto, e un grazie di cuore alle meravigliose Donne che mi hanno accompagnato e ancora oggi mi sostengono e mi vogliono bene.

                                                                                                                                                               Alessandra Forte

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