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Il burka giallo

 

 

Un burka giallo. Leggero, solare, morbido.

Un burka giallo. Prigione, grata, isolamento.

Ero arrivata all’Elba con il mio tailleur pantalone nero, le scarpe col tacco, valigetta ventiquattrore e calcolatrice. Il look da congressista, da donna manager… Donna Moderna. Avrei voluto “indossare” il problema del momento, come mi sentivo: donna di mezza età, super-impegnata, efficiente, autonoma, indipendente, tempo libero poco o nullo. L’ambientazione che immaginavo era la spiaggia, o meglio quella caletta pietrosa dove sarebbe stato difficile camminare con i tacchi e l’incedere precario mi avrebbe permesso di entrare in contatto con la mia confusione, con la disperata necessità di procedere cercando di mantenere l’equilibrio ad ogni passo.

Ma la Vita non è fatta di progetti pre-stabiliti.

Qualcuno tira fuori un burka giallo. Un altro propone un giro di ricognizione per valutare nuovi scenari. Facciamo una prova? Ed io mi ritrovo in un desolato-isolato paesaggio lunare, dentro al burka giallo, con tanto di valigetta e calcolatrice… boh?

Ciak! Si gira!

Inizio lentamente a muovermi. Passo dopo passo, i tacchi affondano nel suolo argilloso. È faticoso camminare. Cerco di guardarmi intorno, ma quello che vedo è solo uno spicchio di mondo, attraverso la grata. Sono sola. E isolata.

L’angoscia sale. Il respiro si fa affannoso, ma avanzo. Cerco possibilità. Avanzo, affondo, risollevo il piede, esploro, riaffondo. Niente. Nessuno.

Prigioniera. Ma di cosa? Di chi?

C’è qualcosa laggiù che interrompe questa grigia distesa. Un masso, una valigetta da lavoro: cultura, stipendio, indipendenza, autonomia, riconoscimenti. Faccio i miei calcoli con la calcolatrice e per un po’ mi sento libera, realizzata. Sono moderna, capace, intelligente… non inferiore agli altri, agli uomini.

Poi qualcosa luccica nel deserto: uno Specchio!

Ma non riflette il mio Volto. Chi è quell’essere oltre la grata? Chi c’è nella prigione? Non posso essere Io! Anni e anni di sacrifici, impegno e studio e sono ancora in gabbia?

Certo, gli altri vedono un solare vestito giallo, ma nessuno può vedere cosa c’è dentro.

Dentro al burka c’è la bambina violata, l’adolescente che chiede voce, la sensualità negata, la maternità mancata, sogni e avventure dissolti dai sensi di colpa. L’amore, la paura, l’angoscia, il senso di inadeguatezza. Non sentirsi mai abbastanza meritevole di amore. Non sentirsi ascoltata, riconosciuta. Non abbastanza – bella-intelligente-acculturata-simpatica – per essere amata.

E quel burka è diventato pelle e carne. I muscoli e le mascelle perennemente contratti, corazza e gabbia. Metallo che non sente il contatto, ma neanche il dolore. Protezione-prigione. Il mondo attraverso una grata.

E il dolore prende dimora nelle cavità più profonde e oscure dell’essere, invisibile eppur vivo.

E solo l’angoscia mattutina che attanaglia il cuore al risveglio è la sua muta e potente voce.

La voce del Niente.

Nel buio, nel vuoto, forse mi ritrovo. Oltre le forme, il peso, le convenzioni. La seta gialla ora è leggera e svolazza informe… avvolge ma non contiene. Si adatta al mio corpo e all’aria. Lascia scoperto il volto e le braccia che si aprono per un nuovo volo e si richiudono in un abbraccio.

 

Per me Femmine Difformi è stata la possibilità di un viaggio profondo dentro me stessa, sostenuta da una rete di donne che mi hanno fatto da specchio e opposti, in un caleidoscopio di emozioni e scoperte, allegria e lacrime, accoglienza nella differenza.

Il lavoro con Cine sine Autor è stato un’ulteriore scoperta! La mia esperienza più intensa di vita condivisa, lavorando ore ed ore alla pari, ognuno con le sue idee ma insieme per lo stesso obiettivo, al di là dell’Ego.

 

                                                                                                                                                                                                                        Tina Gardi

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